Peggy Guggenheim ha sempre rivolto un’attenzione curiosa alla “materia sognata” del vetro e alle sue molteplici applicazioni artistiche. La collaborazione in parte ispirata da Peggy stessa tra i maestri vetrai di Murano ed artisti quali Pablo Picasso, Marc Chagall, Max Ernst ed altri, che negli anni cinquanta prese corpo nelle iniziative del laboratorio della Fucina degli Angeli, rimane tuttora la testimonianza più chiara e feconda dell’interesse della collezionista per le visioni e le potenzialità del vetro. Sulla scia di questa fascinazione, Luigi Ontani ha accettato l’invito ad esporre, proprio nella sala che fu camera da letto di Peggy, tre nuove sculture di vetro nate dalla sua lunga collaborazione con i maestri di Murano Silvano Signoretto e Romano Donà. Nelle parole dell’artista, il presentare alla Collezione Peggy Guggenheim questi lavori inediti, frutto di oltre un anno e mezzo di lavoro “è come giocare con la leggenda di Peggy, voler fare apparire un sogno, nel luogo deputato ai sogni e continuare ad alimentarlo attraverso visioni fantastiche e giocose”.
La presentazione in anteprima alla Collezione Peggy Guggenheim dei tre lavori in vetro, la grande specchiera gli InContinenti, il vaso Vanitaso, il suo acquerello, e la scultura Il piedone del gigante, rappresenta un gradito ritorno del Maestro in Laguna. Risale, infatti, al 1995 il prestigioso incarico affidato all’artista da Gabriella Belli per l’allestimento di una sala personale al Padiglione Italia alla Biennale di Venezia del centenario. Ontani presentò i lavori realizzati in collaborazione con la Bottega d’Arte Ceramica Gatti di Faenza, ma soprattutto un grandioso lampadario in vetro, omaggio alla città e alle sue allegorie. A distanza di oltre 10 anni, il Maestro si misura con un’altra figura “storica” della città, Peggy Guggenheim e il suo rendere omaggio alla leggenda di Peggy è un gioco prezioso e originale che si serve ancora della trasparenza volubile e talvolta ambigua del vetro.
Dall’inizio degli anni ottanta Luigi Ontani si misura con la plasticità del vetro e i suoi significati simbolici. Prendendo spunto dalla natura generatrice delle sculture soffiate, l’artista trasfigura il calco del suo volto in maschera che, giocando con la propria specularità, si fa fonte di continue trasformazioni diventando ora un vaso, ora uno specchio o un lampadario; “capricci” di un autoritratto alimentato dalla vanità dai riflessi della materia incandescente. La ricerca di Ontani si traduce nel gesto primigenio del maestro vetraio, che diventa a sua volta parte del dialogo tra la maschera e il suo doppio, in un virtuoso scambio tra l’eccezionalità della tecnica e la presunzione dell’artista di voler “soffiare” la vita oltre l’apparenza delle cose, oltre la tradizione condivisa ma costantemente contraddetta.