Chi conosce qualcuna delle meravigliose cere del Rosso rievocatrici di arti di civiltà scomparse, di
sensazioni abolite, preziosi frammenti che ci sembrano sorgere su tombe violate, da città distrutte
e arse, da regge crollate…

Mario Morasso, “Il Marzocco”, 23 ottobre 1904

La Collezione Peggy Guggenheim presenta dal 22 settembre 2007 al 6 gennaio 2008 Rosso. La forma instabile. La mostra, che attraverso sculture, cere, gessi e bronzi, fotografie,
collage e ritagli traccerà la riscoperta della complessa estetica contemporanea di Medardo Rosso, è curata da Paola Mola e Fabio Vittucci. Il progetto è realizzato in collaborazione con
il Museo e l’Archivio Medardo Rosso di Barzio (Como) che custodiscono l’intera eredità di opere e l’archivio dello scultore, giunti eccezionalmente integri alla pronipote, Danila Marsure
Rosso.

Rosso (Torino, 1858 – Milano, 1928) è una figura nota, ampiamente studiata e attualmente consolidata nel panorama europeo della scultura di fine ottocento come precursore della
modernità. Tuttavia, per la parte più significativa oggi della sua produzione, Rosso è ancora sconosciuto. Il vaglio sistematico e capillare dei documenti, carte e lettere dell’archivio
promosso alcuni anni or sono da Danila Marsure Rosso, condotto da Paola Mola e Fabio Vittucci, completato da ricerche in Italia e all’estero, apre ora orizzonti inattesi e del tutto
contraddittori rispetto all’immagine tramandata dello scultore scapigliato-impressionista. Rosso per natura è stato un ingegno nascosto: ha abilmente occultato tutto il suo lavoro sulla
fotografia, ha esposto a più di quindici anni di distanza le opere che gli erano più care come Madame X o Yvette Guilbert, e alla fine della sua vita, ha distrutto, come Marcel Duchamp,
tutte le lettere ricevute dai suoi corrispondenti. Fin dall’inizio della sua carriera ha abilmente diretto le linee delle sua biografia, contribuendo alla definizione di una visione univoca della
sua arte assunta senza discussione dalla storiografia, così che l’intera parte novecentesca della sua vitalità creativa è rimasta finora senza voce.

La mostra alla Collezione Peggy Guggenheim si propone, sostenendo il grande sforzo di restituzione dello scultore alla complessità della sua storia, di rendere partecipe del panorama
emerso non solo il grande pubblico, e quello degli studiosi, ma anche il mondo contemporaneo dell’arte che potrà trovare nella prassi artistica di Rosso impensate consonanze e aperture alla riflessione. La scelta di esporre una selezione di 23 sculture documentate, tra cui Madame X (cera su gesso - 1896), Yvette Guilbert (gesso patinato, 1895), la Rieuse (cera su gesso, 1890) e Bambino malato (cera, 1893-95), testimonia il complesso lavoro di datazione e di ricostruzione della produzione di Rosso per il quale il tempo sembrava importare poco: a volte è l’artista stesso a confondere le date delle sue opere, come se per lui l’opera fosse una cosa fluida che dura per la vita in scultura o in fotografia. Sul piano specificamente storiografico molti dati inediti metteranno infine da parte questioni dibattute, e non secondarie, nel panorama dell’arte del novecento, come la datazione di Madame X; chiariranno vicende come quella di Impressione d’omnibus, che ebbe ben altro destino della distruzione durante il viaggio a Venezia nel 1887, o del grande gesso di Paris la Nuit. Troverà, inoltre, ampio spazio in mostra il lavoro sulla fotografia: oltre 100 opere fotografiche provenienti dall’Archivio Rosso, a complemento del recentissimo studio di Paola Mola Rosso. Trasferimenti, aggiungeranno un tassello alla questione, centrale nella
contemporaneità, della relazione tra Scultura e Fotografia.

Le parole di Paola Mola svelano il senso di questa relazione annunciata fin dal titolo della mostra Rosso. La forma instabile: “Ho pensato alla parola Forma perchè comprende
scultura e fotografia e perchè non è necessariamente concreta, può essere anche quello che resta nell'occhio o nella memoria. Instabile anche per qualificare la scultura di Rosso in
relazione a quella antica radicata nel terreno, quella che segna i luoghi: l'obelisco, l'altare; ma anche per distinguerla da quella ottocentesca o anche novecentesca sulle basi o piedestalli.
Rosso è da camera, da "mobile", mobile appunto, da teca trasparente e riflettente. Perciò la forma instabile".

La mostra chiarirà infine, e questo è il tema forse più importante, la qualità estetica della produzione rossiana con la presentazione di opere autografe senza alcun dubbio, la cui storia
verrà ricostruita dagli inizi giovandosi degli studi e delle ricerche condotte per il Catalogo dell’opera documentata promosso dall’Archivio Rosso e in fase avanzata di elaborazione. La
mostra è accompagnata da un catalogo con saggi di Paola Mola e Fabio Vittucci edito da Skira, Milano.

La mostra è realizzata in collaborazione con "Corriere della Sera" e grazie al sostegno della Regione del Veneto. Si ringrazia inoltre Art Forum Wurth.