Migrating Objects: Arte dall’Africa, dall'Oceania e dalle Americhe nella Collezione Peggy Guggenheim

A cura di Christa Clarke, R. Tripp Evans, Ellen McBreen, Fanny Wonu Veys, con Vivien Greene

Collezione Peggy Guggenheim Collection, 15 febbraio – 14 giugno 2020

#MigratingObjects

Dal 15 febbraio al 14 giugno 2020 la Collezione Peggy Guggenheim presenta Migrating Objects. Arte dall’Africa, dall'Oceania e dalle Americhe nella Collezione Peggy Guggenheim, mostra che mette in luce un episodio meno conosciuto ma decisamente significativo del collezionismo di Peggy Guggenheim. Passata alla storia per aver sfidato le convenzioni come collezionista e mecenate, e da sempre celebrata per la sua collezione d’arte moderna europea e americana, nel corso degli anni ’50 e ’60 Peggy Guggenheim inizia a guardare oltre i confini dell’Europa e degli Stati Uniti interessandosi all’arte dell’Africa, dell’Oceania e delle culture indigene delle Americhe. In occasione della mostra Migrating Objects 35 opere di arte non occidentale vengono esposte per la prima volta insieme a Palazzo Venier dei Leoni rivelando un nucleo della collezione della mecenate raramente visibile al grande pubblico. Aspetto assolutamente inedito di questo originale percorso espositivo è la presentazione di questi oggetti in gruppi che privilegiano i contesti originari o, in alternativa, in dialogo con alcuni capolavori delle avanguardie europee in collezione di artisti che si appropriarono delle idee di tali culture extra-europee, tra cui Max Ernst, Alberto Giacometti, Henry Moore, Pablo Picasso. Questi due approcci divergenti permettono di gettare nuova luce sulle letture errate imposte dalla cultura occidentale rispetto a tali lavori.

L’esposizione è il frutto di un esteso periodo di ricerche e confronti da parte di un team di studiosi su questi lavori per lungo tempo tralasciati negli studi sulla collezione di Peggy Guggenheim. Nel corso degli ultimi due anni e mezzo le ricerche hanno portato a risultati anche sorprendenti, come l’attribuzione di alcune opere, in particolare la maschera copricapo proveniente dalla Nigeria (Ago Egungun) creata nell’atelier di Oniyide Adugbologe (1875–1949 c.), esposta in mostra.

Nel 1959 Peggy Guggenheim acquista il primo nucleo di opere di arte non occidentale da Julius Carlebach, mercante d’arte di New York. Si tratta di un piccolo gruppo di lavori che spaziano da una maschera Baga D’mba proveniente dalla Guinea a una scultura funebre malangan maramarua dalla Nuova Irlanda, Papua Nuova Guinea. “Mi ritrovai orgogliosa proprietaria di dodici fantastici [artefatti]: si trattava di maschere e sculture della Nuova Guinea, del Congo Belga, del Sudan Francese, del Perù, del Brasile, del Messico e della Nuova Irlanda. Mi ricordai dei giorni in cui Max [Ernst] e io ci stavamo separando . . .e [lui] staccava dalle pareti tutti i suoi tesori, uno dopo l’altro: ora tornavano tutti da me”, racconta la collezionista nella sua autobiografia Una vita per l’arte (Rizzoli Editori, Milano, 1998). Di fatto l’artista surrealista Max Ernst, secondo marito di Peggy Guggenheim, ebbe un ruolo determinante nell’avvicinare la collezionista a quegli oggetti creati da popolazioni indigene che lo stesso Ernst accumula ossessivamente nei primi anni ‘40, esponendoli nella casa che i due condividevano a New York, insieme alle opere create dagli artisti amici della coppia.

Qualche anno più tardi Peggy Guggenheim acquista altre opere in Italia, da Franco Monti e Paolo Barozzi. Pur se consigliata negli acquisti dai mercanti a cui si rivolge, nell’allestire le opere a Palazzo Venier dei Leoni la collezionista segue una propria visione, accostandole, ad esempio, a dipinti di Pablo Picasso e dello stesso Ernst. Il coinvolgimento di artisti come Ernst e Picasso o Jackson Pollock fa presumere che Peggy Guggenheim fosse consapevole che queste opere, entrando nel mondo occidentale, avessero rappresentato una migrazione diretta di idee, che avevano influenzato il modernismo nelle sue stesse fondamenta. L’arte moderna europea e americana venne di fatto modellata, come riconosciuto dagli stessi artisti delle avanguardie, dai costrutti e dai motivi sottratti alle culture oltreconfine.

Attraverso due modalità opposte di allestimento, focalizzate sia sui significati originari delle opere sia sulle loro successive reinterpretazioni, la mostra Migrating Objects contestualizza l’approccio di Peggy Guggenheim entro l’ambito ben più ampio e problematico della tradizione occidentale che privilegia l’affiancare lavori d’arte moderna occidentale e non occidentale sulla base di affinità formali e concettuali. La scelta di impiegare questi due metodi divergenti permette di prendere in considerazione come le opere, i cui significati e scopi originari sono stati spesso fraintesi, siano collocate negli studi, nelle gallerie, nei musei e nelle case, con finalità spesso contradditorie. Tracciare le traiettorie di questi oggetti è un atto che rivela gli intrecci formatisi tra colonizzazioni, annessioni, migrazioni e reinterpretazioni unitamente alla storia degli individui, noti o non riconosciuti.

La mostra è curata da un Comitato scientifico che include: Christa Clarke, curatrice indipendente e studiosa delle arti dell'Africa e affiliata all'Hutchins Center for African & African American Research, Harvard University, Cambridge, Mass.; R. Tripp Evans, professore di Storia dell'arte e Co-Chair, Department of Visual Art and Art History, Wheaton College, Norton, Mass.; Ellen McBreen, professoressa associata di Storia dell'arte, Department of Visual Art and Art History, Wheaton College, Norton, Mass.; Fanny Wonu Veys, curatrice, Oceania, National Museum of World Cultures, Amsterdam, Berg en Dal, Leiden e Rotterdam, con Vivien Greene, Senior Curator, 19th- and Early 20th-Century Art, Guggenheim Museum, che ha curato anche il catalogo dell’esposizione.

Migrating Objects. Arte dall’Africa, dall'Oceania e dalle Americhe nella Collezione Peggy Guggenheim gode del patrocinio di UNHCR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati). Carlotta Sami, Senior Public Information Officer di UNHCR, dichiara: “Questa mostra rappresenta un'opportunità d'eccezione per UNHCR per continuare a informare e migliorare la percezione che il grande pubblico ha dei rifugiati: non solo persone disperate in cerca di protezione ma prima di tutto individui costretti alla fuga portatori di un importante bagaglio di cultura, talento e sogni da mettere a disposizione dei Paesi che li accolgono. Così gli oggetti d'arte di paesi apparentemente lontani dialogano con opere di artisti occidentali introducendo una consapevolezza maggiore del fatto che le idee migrano con le persone e con esse si ibridano, su un piano di pari dignità e valore. Esiste una terza via alternativa ai poli chiusura e assimilazione, ed è quella più moderna: quella di una società in cui già adesso, ogni giorno, culture e linguaggi sono multipli, in cui ancora il nostro modo di vivere influenza ciò che è "non occidentale" e al contempo è da esso costantemente influenzato e modificato, dando vita a un'inestimabile ricchezza di idee e visioni".

Il programma espositivo della Collezione Peggy Guggenheim è supportato dal Comitato Consultivo del museo. I progetti educativi correlati all’esposizione sono realizzati grazie alla Fondazione Araldi Guinetti, Vaduz. Le mostre della Collezione Peggy Guggenheim sono realizzate con il sostegno degli Institutional Patrons, EFG, Lavazza, Sanlorenzo, e le aziende del gruppo Guggenheim Intrapresæ.