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Il Surrealismo in Italia: convegno per il centenario del Manifesto surrealista
17-18 ottobre 2024, ore 10.00–18.00
Auditorium Santa Margherita, Università Ca’ Foscari Venezia
A cura di Gražina Subelytė, Giulia Ingarao, Hubertus Gassner
Comitato scientifico: Alice Ensabella, Hubertus Gassner, Giulia Ingarao, Alessandro Nigro, Gavin Parkinson, Gražina Subelytė, Anna Watz
In occasione del centenario della pubblicazione del Manifesto del Surrealismo, la conferenza L’Italia è più surrealista del Papa si propone di esplorare il ruolo dell’Italia nell’ambito del Surrealismo internazionale dagli anni venti del secolo scorso al secondo dopoguerra. Sebbene non si possa parlare di una scuola surrealista italiana, alcuni artisti italiani come Paolo Uccello (1397-1475), Piero di Cosimo (1462-1522) e Giorgio de Chirico (1888-1978) sono di grande ispirazione per la poetica del movimento, altri, invece, come Enrico Baj (1924-2003), creano opere che collimano con le tematiche surrealiste. Inoltre, artisti come Leonora Carrington (1917-2011), Salvador Dalí (1904-89), Leonor Fini (1907-96), Edward James (1907-84), Manina (1918-2010), Matta (1911-2002), Kay Sage (1898-1963) e Pavel Tchelitchew (1898-1957) vengono influenzati, ciascuno a suo modo, dall’arte e dalla cultura italiana: alcuni sono ispirati dall’arte, mentre quelli che vivono in Italia per vari periodi di tempo sono influenzati dalle esperienze qui vissute. Il convegno intende esaminarne la vita e le opere, analizzando singoli casi studio del periodo pre e postbellico, sovvertendo così il ruolo marginale attribuito all’Italia nello sviluppo del Surrealismo.
Tra le varie tematiche, il convegno si propone di approfondire gli ambienti e l’architettura surrealista in Italia, nonché il più ampio contesto internazionale dei musei, delle gallerie e del collezionismo privato. Infine, aspetto non meno importante, intende fare il punto sul modo in cui il Surrealismo è stato al centro delle discussioni nei circoli intellettuali in Italia grazie a mostre e riviste. Attraverso lo studio analitico del quadro culturale italiano L’Italia è più surrealista del Papa offre la straordinaria opportunità di una rivalutazione del Surrealismo e del suo rapporto con l’Italia, presentando argomenti innovativi volti a mappare e approfondire tematiche e prospettive meno conosciute, ma cruciali.
- Il convegno è aperto al pubblico.
- Fino a esaurimento posti.
- Con traduzione simultanea.
Partecipanti
Giuliana Altea e Antonella Camarda
Bona. Un percorso surrealista tra Italia e Francia
Trasferitasi a Parigi nel 1950 dopo gli studi all’Accademia di Venezia, Bona Tibertelli (1926– 2000) matura le istanze surrealiste innescate dall’esperienza giovanile accanto allo zio Filippo de Pisis e dalla frequentazione della pittura italiana medievale e rinascimentale. Con de Pisis scopre i mosaici ravennati, le scuole senese e ferrarese, i pittori del Camposanto di Pisa, ma anche Giorgio de Chirico e la Metafisica. Introdotta nella cerchia di André Breton dal marito, il critico e scrittore André Pieyre de Mandiargues, sviluppa una versione personale dell’immaginario surrealista attraverso la rete di relazioni intessuta tra Parigi, Venezia, Roma e Milano con alcuni dei protagonisti della scena Informale e Nucleare.
La sua pittura fonde echi del Tre-Quattrocento italiano con il Surrealismo di Salvador Dalí e Yves Tanguy in paesaggi onirici dove oggetti naturali ingigantiti e minuscoli personaggi generano atmosfere inquietanti. A metà anni cinquanta vira verso l’astrazione materica, in dialogo con Alberto Burri e Jean Dubuffet. Elabora poi, in uno scambio intellettuale con Enrico Baj, la tecnica che più la caratterizza: l’assemblaggio di tessuti. Questo la conduce verso una figurazione ricca di spunti espressionisti e primitivisti, che declina i temi dell’inconscio e della follia con un’intensità psicologica non priva di ironia e humour. Negli anni settanta si identifica con il proprio animale totemico, la lumaca, associata all’informe e all’abietto, ma allusiva all’infinito grazie alla spirale del guscio. Questo contributo anticipa le tematiche della prima monografia sull’artista, in corso di preparazione da parte delle scriventi.
Giuliana Altea è Professoressa associata di Storia dell’arte contemporanea all’Università di Sassari, dove dirige il CURL–Laboratorio di Pratiche Curatoriali ed è delegata rettorale ai musei ed eventi culturali. Dal 2015 è Presidente della Fondazione Costantino Nivola. Le sue ricerche si incentrano sull’arte e le arti applicate italiane della prima metà del Novecento, sulle connessioni tra le dimensioni del femminile, del primitivo, del decorativo, sul rapporto tra arte, architettura e design, sugli scambi artistici tra Italia e Stati Uniti nel secondo dopoguerra, sul movimento figurativo regionalista sardo del primo Novecento, per il quale è la studiosa di riferimento.
Antonella Camarda è storica dell’arte e curatrice e, dal 2015 al 2022, Direttrice del Museo Nivola di Orani. Ricercatrice in Museologia, Critica d’arte e Conservazione presso l’Università di Sassari, si occupa di relazioni tra musei e comunità, storia della critica d’arte, e storia transculturale del modernismo. Si è occupata in particolare degli scambi tra Italia e Stati Uniti e del rapporto tra arte, artigianato e design, con testi sullo scultore italiano emigrato Costantino Nivola, sul direttore artistico Leo Lionni, sulla gallerista e pioniera Bertha Schaefer, e sui viaggi di Lawrence Weiner in Italia.
Tessel M. Bauduin
“Una visione grandiosa del cosmo e dell'inconscio”: Piero di Cosimo nel Surrealismo, con considerazioni su Paolo Uccello e Giuseppe Arcimboldo
L’interesse dei surrealisti francesi e internazionali per artisti italiani del Quattrocento e del Cinquecento come Giuseppe Arcimboldo (1526–93), Leonardo da Vinci (1452–1519), Piero di Cosimo (1462–1522) e Paolo Uccello (1397–1475) è ben noto ma non altrettanto ben approfondito. Questo contributo ricostruisce la fortuna, la ricezione e l’inquadramento del pittore fiorentino Piero di Cosimo nel dibattito artistico, letterario e critico del Surrealismo tra gli anni venti e sessanta del Novecento, dimostrando come l’artista sia inquadrato nel discorso critico come proto-surrealista dai surrealisti e anche dai critici d’arte (non surrealisti), questi ultimi sulla base di risonanze stilistiche e iconografiche superficiali, che inseriscono gli artisti in una cornice pseudo-psicologica decisamente moderna. La relativa oscurità del di Cosimo nella prima metà del secolo scorso permette di enfatizzarne la presunta méconnaisance, elemento irresistibile per i surrealisti che si considerano maestri dell’archivio e curatori di geni “dimenticati”. Nel ripercorrere la surrealizzazione dell’artista si farà un confronto con l’appropriazione di altri artisti italiani da parte dei surrealisti, sulla base di fonti come la rivista “Minotaure” (1933–39), pubblicazioni come L'Art magique (1957) di André Breton e opere di Wolfgang Paalen e altri ancora.
Tessel M. Baduin, medievalista per formazione, negli ultimi vent’anni ha concentrato le sue ricerche sulla cultura e l’eredità culturale del modernismo e delle avanguardie. Bauduin insegna Storia dell’arte, Studi museali ed eredità culturale e Ricerca sulle restituzioni presso l’Università di Amsterdam. I suoi progetti di ricerca attuali si concentrano sulle ecologie critiche dell’eredità culturale, sulla decolonizzazione delle collezioni museali, soprattutto di opere moderniste e surrealiste, e sui gabinetti di curiosità moderni. È curatrice del volume Surrealism and the Tarot, in uscita nel 2025 (Fulgur Press). Dal 2022 è membro del consiglio direttivo della International Society for the Study of Surrealism .
Tobia Bezzola
Il Giardino dei Tarocchi di Niki de Saint Phalle
Il Giardino dei Tarocchi realizzato da Niki de Saint Phalle (1930–2002) a Garavicchio, in provincia di Grosseto, è probabilmente la più grande opera surrealista presente in Italia. Si ispira ad alcuni classici esempi di architécture fantastique ammirati da André Breton e dai surrealisti: Il Parc Güell di Antoni Gaudí a Barcellona, il Parco dei Mostri di Bomarzo, il Palais Idéal del Facteur Cheval (Joseph Ferdinand Cheval) e le Watts Towers di Simon Rodia. Realizzato tra il 1980 e il 1996, il Giardino dei Tarocchi riunisce ventidue figure monumentali costruite in cemento armato e ricoperte da mosaici di specchi e tessere ceramiche che raffigurano gli Arcani dei Tarocchi.
Il gioco dei Tarocchi riveste un ruolo importante per il movimento surrealista come fonte d’ispirazione e strumento d’esplorazione creativa. Le immagini e i temi degli Arcani, dalla forte carica mistica e simbolica, risuonano profondamente con l’interesse dei surrealisti per la mente inconscia, i sogni e l'irrazionale. I Tarocchi offrono ad artisti surrealisti come André Breton, Salvador Dalí e Max Ernst un linguaggio visivo e concettuale in linea con il loro tentativo di trascendere il pensiero razionale addentrandosi nell’ambito del fantastico e del subconscio. Grazie al ricco simbolismo delle figure archetipiche e alle loro narrazioni enigmatiche, gli Arcani permettono di accedere agli strati nascosti della psiche umana e di articolarli, un obiettivo fondamentale dell’arte surrealista. Inoltre, l’enfasi posta dai Tarocchi sul caso e sull’ignoto collima con l’adozione da parte dei surrealisti dell’automatismo e della spontaneità come tecniche artistiche.
Tobia Bezzola, Professore assistente all’Università di Zurigo dal 1990 al 1992 e assistente del curatore indipendente Harald Szeemann dal 1992 al 1995, è stato Curatore presso la Kunsthaus di Zurigo dal 1995 al 2012 e Direttore del Museum Folkwang di Essen, in Germania, dal 2013 al 2018. Dal 2018 è Direttore del Museo d'arte della Svizzera italiana di Lugano. Ha pubblicato numerosi contributi e curato mostre internazionali di arte moderna e contemporanea e di fotografia. Attualmente è membro del consiglio direttivo di numerose istituzioni e fondazioni artistiche e culturali svizzere e internazionali ed è docente all’Università della Svizzera italiana/Accademia di Architettura.
Paulina Caro Troncoso
Verso una “morfologia storica”: Il Surrealismo di Matta in Italia
Nel 1952 l’artista surrealista di origine cilena Roberto Sebastián Matta (1911–2002) scrive di voler creare una morfologia storica che affronti i problemi sociali e politici. Inizia a lavorare all’idea in Italia, dove si trasferisce dopo l’esilio trascorso a New York durante la Seconda guerra mondiale, trasformando in modo significativo la propria prassi artistica. Dopo aver contribuito allo sviluppo dell’automatismo con le prime opere astratte, si orienta verso nuovi linguaggi visivi e nuove tematiche che ampliano gli orizzonti della sua pittura, la cui materialità si fa anche strumento capace di portare la dimensione politica del Surrealismo verso nuove direzioni. Momento cruciale dei primi anni trascorsi da Matta in Italia è la partecipazione all’“Incontro internazionale della ceramica”, organizzato nel 1954 ad Albisola, vicino a Genova. L’evento riunisce un gruppo di critici d’arte e di artisti internazionali, tra cui Enrico Baj, Corneille, Sergio Dangelo e Asger Jorn, invitandoli a sperimentare con la ceramica sotto la guida del ceramista italiano Tullio Mazzotti. L’esperienza ha un chiaro impatto sull’arte di Matta degli anni successivi: l’artista continua a lavorare con materiali terrosi, ad esempio nella serie di dipinti creati con il terriccio nel 1957 sull’isola di Panarea, al largo della Sicilia, e nel murale Cuba es la capital realizzato durante una visita a L’Avana nel 1963. Questo contributo analizza l’impatto delle esperienze italiane sul lavoro di Matta, esaminandone il concetto di morfologia storica nel contesto del Surrealismo del secondo dopoguerra.
Paulina Caro Troncoso è Leverhulme Trust Fellow presso la Bibliotheca Hertziana - Istituto Max Planck per la Storia dell’Arte, a Roma. Attualmente lavora alla monografia Transnational Surrealism: Art and Politics in the Work of Roberto Matta, 1940s–1980s. Ha pubblicato vari articoli nel “Bulletin of Latin American Research” (2022) e nel “Journal of Surrealism and the Americas” (2023), ed è autrice di saggi per The Routledge Companion to Surrealism (Routledge, 2022) e Surrealism and the Tarot: A Love Story (in uscita nel 2024).
Ambra D’Antone
Una rilettura “a freddo” del Surrealismo nell'Emilia Romagna degli anni sessanta
Nel marzo 1964 un gruppo di poeti di Reggio Emilia lancia una nuova rivista culturale, “Malebolge” (1964–67). Appartengono al Gruppo 63, un collettivo di intellettuali decisi a dare uno scossone al panorama culturale stagnante dell’Italia degli anni sessanta. Sulla rivista il Surrealismo è oggetto di ampi dibattiti: in risposta alle voci che dichiarano l’obsolescenza del movimento a partire dalla fine degli anni cinquanta, i contributi della rivista sottolineano invece quanto i metodi surrealisti restino efficaci per la loro missione di rigenerazione culturale. Proprio per questo i poeti di “Malebolge” chiamano “Parasurrealismo” la loro prassi, un approccio contemporaneo che definiscono “una sorta di manierismo del Surrealismo, un Surrealismo a freddo, un Surrealismo al quadrato”. Il Parasurrealismo negli anni sessanta definisce la nuova produzione poetica e visiva del gruppo e il loro attivismo politico.
L’intervento esamina la posizione parasurrealista proposta da “Malebolge” e contestualizza sia l’accoglienza riservata al Surrealismo nell’Italia degli anni trenta sia la concezione di una “sensibilità degli anni sessanta” formalista da parte di storici e critici dell’arte, sulla scia del nouveau roman francese – due posizioni cui “Malebolge” ora aderisce, ora si oppone. Questi punti sono illustrati attraverso l’analisi di alcune opere del poeta Adriano Spatola (1941–88): manifesti politici grotteschi di protesta contro la guerra del Vietnam, segni minimalisti su tela e una serie di oggetti parasurrealisti che Spatola realizza nel 1965 con Claudio Parmiggiani (1943). Le opere esemplificano la ripresa parasurrealista della poiesis surrealista nella creazione di immagini, evidenziando un percorso alternativo alle narrazioni dominanti sulla rinascita artistica dell’Italia nel dopoguerra. In questo contesto “Malebolge” offre un avvenire concettuale al Surrealismo, visto come metodo vivo di dissacrazione artistica e letteraria negli anni sessanta, opponendosi al generale disconoscimento del Surrealismo in quanto realtà storicizzata e quindi irrilevante.
Ambra D’Antone è storica dell’arte moderna e della storiografia dell’arte, con particolare attenzione alla Turchia e ai paesi del Levante. D’Antone è Assistente curatoriale presso la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia; tra i progetti in corso, un libro sulla storiografia dell’arte in Turchia tra il 1920 e il 1960. Ha co-curato Drawing on Arabian Nights (2023), per il Project Space della Courtauld Gallery. Le sue ricerche sono state pubblicate su “Art History” e “The Journal of Art Historiography”.
Jérôme Duwa
Jean-Jacques Lebel in Italia (1955–61): “Front Unique”, fronte critico
La prima mostra personale di Jean-Jacques Lebel (n. 1936) si tiene alla Galleria Numero di Firenze nel 1955 ed è accompagnata dal primo numero della rivista “Front Unique”, pubblicato sotto forma di manifesto, il cui sottotitolo recita: “En faveur du comité d'action des intellectuels, pour un regroupement de la gauche”.
Cosa ha portato il giovane surrealista a Firenze? L’intervento analizza la carriera di Lebel e la sua rivista “Front Unique” (1955–60), cui collabora Arturo Schwarz, nei rapporti con i circoli culturali italiani a Firenze, Venezia e Milano. “Front Unique” è interessante per tre motivi: tratteggia un contesto politico e artistico in fase di rinnovamento, a seguito delle lotte anticoloniali e della de-stalinizzazione; dimostra che il Surrealismo può essere inteso al plurale; è un laboratorio di idee che contribuisce a formare un artista che avrà un ruolo importante negli anni sessanta, in particolare per la storia dell’happening in Europa. Proprio in Italia Lebel organizza due Anti-Procès (a Venezia e a Milano), ed è a Milano che la Questura sequestra l’opera collettiva Grand Tableau Anti-fasciste collectif (1960) presentata nell’Anti-Procès 3 (Milano, 1961). Studiare la geografia italiana dell’opera e delle attività di Lebel è forse il modo di svilupparne il legame critico ma non ostile con il movimento surrealista.
Jérôme Duwa insegna filosofia all’École Estienne (École Supérieure des Arts et Industries Graphiques) di Parigi. Ha conseguito un dottorato in storia dell’arte contemporanea, è membro associato dell’unità di ricerca Thalim e detiene l’agrégation in filosofia. Dopo la tesi su Jean Schuster, i suoi libri e le sue ricerche si concentrano sulle questioni estetiche e politiche sollevate dal Surrealismo. La sua ultima pubblicazione è Front unique. La Traversée du surréalisme di Jean-Jacques Lebel (Les presses du réel, 2024).
Alice Ensabella
La mostra “Têtes composées d’Arcimboldo” alla Galerie Furstenberg nella primavera del 1954
Se il Surrealismo si schiera fin dagli inizi contro i grandi maestri classici, i fondatori del gruppo riconoscono ed eleggono a modello alcune figure rinascimentali italiane, considerati veri e propri precursori dell’estetica surrealista. Tra questi, come noto, vi sono Paolo Uccello, citato fin dal manifesto del 1924, e Arcimboldo. Nel corso degli anni, tuttavia, il ruolo di questi artisti rispetto all’estetica surrealista evolve nel pensiero di André Breton e, proprio come i contemporanei del gruppo, anche i modelli sono oggetto di ripensamenti e scomuniche. Il ruolo di Arcimboldo, ad esempio, nel dopoguerra sembra essere messo in discussione.
Per queste ragioni appare curioso che il 30 marzo del 1954 la Galerie Furstenberg di Parigi, diretta da Simone Collinet e presentata come galleria di “arte surrealista e fantastica”, inauguri con una mostra dedicata alle Têtes composées di Arcimboldo: dal 30 marzo al 30 aprile 1954 nelle sale della nuova galleria sono esposti sei ritratti dell’artista italiano assieme a undici opere di artisti arcimboldesques del Cinquecento e Seicento.
Attraverso l’analisi della mostra, dalla sua genesi alla sua ricezione, il contributo intende fare il punto sull’importanza della figura di Arcimboldo nell’ambito del Surrealismo del dopoguerra, così come sul gesto simbolico di Collinet, che lo sceglie come figura chiave per il lancio della galleria. Con l’occasione, inoltre, si vuole presentare una parte della documentazione inedita sull’evento, rinvenuta negli archivi recentemente riscoperti della galleria gestita da Collinet tra il 1954 e il 1965.
Alice Ensabella è Professore associato di Storia dell’arte contemporanea all’Università di Grenoble Alpes. Ha conseguito il dottorato di ricerca nel 2017 con la tesi “L’arte dei frères voyant. Caratteristiche e dinamiche del mercato dell'arte surrealista a Parigi (1919–1930)”. La sua ricerca si concentra sull’arte italiana e francese del periodo tra le due guerre, in particolare Metafisica e Surrealismo, sul collezionismo, sul mercato dell’arte e sugli attori che hanno supportato i movimenti modernisti nella prima metà del Novecento. Ha curato le mostre Giorgio de Chirico e Alberto Savinio. Una mitologia moderna (Parma, 2019), Giorgio Morandi. La collection Magnani-Rocca (Grenoble, 2021; Londra 2023), e Il Surrealismo e l'Italia (Parma, 2024).
Matthew Gale
“I nostri buoni amici surrealisti”: il caso di Marco Levi Bianchini
Lo psichiatra Marco Levi Bianchini (1875–1961) è il primo traduttore di Sigmund Freud in italiano, è direttore di un manicomio nei pressi di Salerno e il fondatore dell’“Archivio Generale di Neurologia, Psichiatria e Psicoanalisi” (1920–38). Su questa rivista pubblica contributi clinici insieme a recensioni di libri che offrono una notevole prospettiva sulla cultura contemporanea: la gamma delle sue letture è prodigiosamente ampia, arrivando a totalizzare 10.357 recensioni. Levi Bianchini si concentra sugli studi accademici e spazia poi tra pubblicazioni di storia, politica, sociologia, economia, antropologia, letteratura, religione e mistica. Decisamente a margine, ma in modo da fornire il materiale per questa ricerca, troviamo il Surrealismo.
Nel contesto della diffusione del Surrealismo e della resistenza che incontra in Italia, gli scritti misconosciuti di Levi Bianchini ne fanno un intellettuale fuori dagli schemi: dopo aver pubblicato la prima traduzione di Freud in italiano nel 1915, nel 1925 egli fonda con Eduardo Weiss la Società Psicoanalitica Italiana, e nel periodo 1928–35 si interessa al Surrealismo, il che fa di lui uno dei pochi recensori italiani del movimento. I suoi commenti delineano il modo in cui gli scritti di André Breton, René Crevel, Salvador Dalí e Paul Éluard sono accolti in Italia. Gli interessi di Levi Bianchini sollevano vari interrogativi, cui non è possibile dare risposte definitive, sulla sua rete di contatti, ma dimostrano come alla fine degli anni trenta la diffusione di una più ampia cultura europea cui egli aspira non sia sostenibile in un’Italia fascista che si avvia all’alleanza con la Germania nazista.
Matthew Gale, curatore e storico dell’arte, consegue il dottorato di ricerca presso il Courtauld Institute of Art di Londra con una tesi su Giorgio de Chirico. Dal 1995 al 2022 è curatore alla Tate di Londra, dove tra il 2006 e il 2021 è a capo del gruppo di curatori incaricato dell’esposizione della collezione alla Tate Modern. Tra le mostre e pubblicazioni che lo vedono autore o curatore: Dada & Surrealism (Phaidon Press, 1997, 2002); Constantin Brancusi: The Essence of Things (con Carmen Giménez, 2004); Dalí & Film (2007); Arshile Gorky: Enigma e Nostalgia (2010); Joan Miró: The Ladder of Escape (con Marko Daniel, 2011); Paul Klee: Making Visible (2013) e Surrealism Beyond Borders (con Stephanie D'Alessandro, 2021).
Hubertus Gassner e Ute Janssen
La Casa dello Stregone di Edward James: una casa surrealista?
L’intervento presenta un’installazione video multischermo incentrata sulla casa di Edward James (1907–84), poeta inglese, amico, mecenate e collezionista di Leonora Carrington, Salvador Dalí, René Magritte e molti altri surrealisti. Nel 1980 James lascia il Messico, dove ha dedicato più di vent’anni alla creazione di un giardino surrealista di sculture, e decide di stabilirsi tra le montagne della Liguria. La sua casa è un luogo di passaggi, di soglie accentuate da elementi architettonici. I passaggi – l’attraversamento di una soglia verso un altro mondo sconosciuto o addirittura meraviglioso – sono elementi tipici della pittura e letteratura surrealiste, utili a raggiungere un regno trascendentale di fantasia, sogno, inconscio o saggezza cosmica. Nella sua abitazione James progetta passaggi di forme diverse, che traducono immagini prese dalla pittura e letteratura surrealiste in spazi accessibili e fisicamente percorribili.
I varchi tridimensionali della Casa Dante di James, diversi per forma ma anche per significato, sono il punto di partenza dei video di Ute Janssen, e offrono visioni di passaggi tra il mondo reale e il fantastico, il mondo concreto e la dimensione irrazionale del sogno, della fantasia e del desiderio. Il ciclo Canti di Casa D. Numero 1 è diretto, prodotto, montato e animato da Janssen con musiche di Michele del Prete, Christopher Loy e Nora Kümel (italiano, 2022–23, 4K, 33`). Al centro di questa simbiosi tra saggio, poema cinematografico e “ciné, ma verité” (come lo definisce Janssen) c’è l’architettura della villa, che diventa il terreno di gioco dei partecipanti al film.
Hubertus Gassner studia storia dell’arte, filosofia e sociologia all’università dal 1968 al 1980, completando la tesi di dottorato su “Alexandr Rodčenko and the Photography of Russian Constructivism”. Dal 1981 al 1991 è Professore assistente di Storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti/Università di Kassel, in Germania; nel 1989-92 è Direttore del documenta archiv di Kassel, dal 1993 al 2002 è Capo-curatore della Haus der Kunst di Monaco di Baviera, dal 2002 al 2006 è Direttore del Museum Folkwang di Essen, in Germania, e dal 2006 al 2016 dirige la Hamburger Kunsthalle di Amburgo. Ritiratosi nel 2016, Gassner ha pubblicato oltre cento libri, cataloghi di mostre e articoli sull’arte del Sette e Ottocento, il Costruttivismo russo e internazionale, il Surrealismo e l’arte contemporanea.
Ute Janssen vive e lavora ad Amburgo come artista e docente di tecniche espressive legate al tempo (con particolare attenzione a video, animazione e disegno). Nelle sue opere mette in discussione e analizza la registrazione ottica, elettronica e digitale delle immagini in movimento con mezzi estetici e crea spazi-immagine estetici sulla base di precedenti ricerche culturali. Per il suo “ciné, ma vérité” mette in scena spazi d’immagine che integrano performance e architettura.
Terri Geis
La magia al neon di Manina nella Venezia del dopoguerra
Manina (Marianne Tischler, 1918–2010) trascorre oltre cinquant’anni a Venezia, dipingendo e disegnando mondi semi-figurativi ispirati all’esoterismo surrealista del secondo dopoguerra. Gli ibridi uccello-uomo, così presenti nei simboli chimerici che permeano l’arte e l’architettura veneziane, sono un motivo centrale del suo regno visivo, come in Renaissance d’un Center (1962) e Day to Night (1973), e nei disegni, come quelli che illustrano Double Envol, il violento racconto del compagno Alain Jouffroy (pubblicato per la prima volta in Le Surréalisme, même, 1959). In effetti, le grottesche metamorfosi uccello-uomo giocano un ruolo così complesso nei dipinti luminosi e intricati di Manina che Penelope Rosemont definisce i suoi “ornitologi al neon” un elemento essenziale del modo in cui le artiste invadono “il vecchio ordine dal basso, stupendoci”.
I contrasti tra luce e ombra, da un cosmo gassoso in formazione a un regno minaccioso nero come la pece, caratterizzano il lavoro di Manina. La luce penetra e si insinua nei dipinti, a volte come entità ambigua, spesso a sottolineare la profondità abissale del cielo e delle acque notturne di Venezia. Il suo immaginario, pur influenzato dal costante studio di alchimia, Cabala e I Ching, non è mai lontano dal recente contesto storico legato alla guerra e al fascismo. Il contributo analizza il modo così legato a Venezia in cui Manina utilizza la magia, il travestimento e la trasformazione come metodi per riconfigurare, per dirla con Rosemont, “il vecchio ordine”, ma anche come strumenti per affrontare il trauma e la disumanizzazione nel mondo del secondo dopoguerra e oltre.
Terri Geis è Professore associato di Arte presso la New York University Abu Dhabi. Studia i modernismi internazionali, in particolare il Surrealismo e le sue intersezioni nelle Americhe. Tra i suoi progetti espositivi ricordiamo In Wonderland: The Surrealist Adventures of Women Artists in Mexico and the United States (2017) e Prometheus 2017: Four Artists from Mexico Revisit Orozco (2017). Tra le pubblicazioni recenti, un saggio per la mostra Leonora Carrington: Magical Tales (2019) e un saggio sul surrealista Ted Joans per la rivista “Dada/Surrealism”.
Annabelle Görgen-Lammers
Terre italiane bruciate dal desiderio sulla spiaggia di Cadaqués
Durante la famosa “estate surrealista” del 1929 a Cadaqués, in Spagna, Salvador Dalí (1904–89) incontra per la prima volta Gala Éluard e crea Les Accommodations des desires (Metropolitan Museum of Art, New York) dopo aver passeggiato con lei sulla spiaggia nell’ultimo giorno che Gala trascorre in Spagna, secondo il resoconto dello stesso artista. Il dipinto, che nell’opinione generale riflette l’influsso del pensiero e delle metodologie surrealiste su Dalí, mostra sette “ciottoli” su fondo scuro, che si pensa rappresentino la spiaggia di Cadaqués. Le immagini dipinte o a collage sono interpretate come allucinazioni che rappresentano le ansie di Dalí su ciò che il futuro può riservargli.
Questo contributo intende tuttavia dimostrare che Dalí si è probabilmente ispirato a un documento di epoca romantica sui processi della natura nell’Italia meridionale. I contorni, le superfici, le ombre, così come la composizione dei ciottoli, richiamano le accurate osservazioni di terre e rocce bruciate riprodotte nell’illustrazione di una ricerca vulcanologica. Ciò getta nuova luce anche sul fatto che René Magritte (1898-1967), anch’egli presente a Cadaqués in quell’agosto, faccia riferimento alla composizione di Dalí in un suo disegno. È evidente come l’Italia abbia un’influenza indiretta nell’estate che trascorrono insieme in Spagna, un soggiorno che per entrambi si dimostra decisivo per sfidare la realtà nelle loro opere.
Annabelle Görgen-Lammers, dopo studi ad Amburgo, Braunschweig e Parigi consegue un M.A. Dipl.-Des. e un PhD con tesi sull’Exposition internationale du surréalisme, tenutasi a Parigi nel 1938. Dal 2003 è Curatrice delle mostre e Direttrice della collezione di sculture della Hamburger Kunsthalle e tiene regolarmente conferenze in varie università. Ha ideato e organizzato numerose mostre itineranti di arte contemporanea e del Novecento, tra cui TOYEN (per cui ha ricevuto il premio tedesco per la curatela 2022); De Chirico. Metaphysical Painting (2020); Surreal Encounters, the Collections of James, Penrose, Keiller, Pietzsch (2017); Giacometti. Playing fields (2013); Photography in Surrealism (2006); attualmente prepara la mostra Elective Affinities - Surrealism and German Romanticism (prevista per il 2025).
Giulia Ingarao
La cultura rinascimentale alle origini della cosmologia organica di Leonora Carrington
“… questo fa sì che i dipinti di Leonora siano copia dei suoi illustri predecessori cinquecenteschi? Niente affatto! Lei è un’artista del suo tempo – un’artista esemplare del Ventesimo secolo – come gli artisti del Rinascimento lo erano del loro”. Edward James, nella presentazione alla prima mostra personale di Leonora Carrington (1917–2011) a New York (Pierre Matisse Gallery, 1948), esalta la capacità dell’artista di metabolizzare i contenuti del Rinascimento nordeuropeo e italiano facendoli propri.
L’influenza del primo Rinascimento nell’opera di Carrington, evidente nell’uso della tempera e nell’architettura compositiva delle opere, è stata già ampiamente analizzata. Questo intervento mette a fuoco l’interesse che Carrington sviluppa per le dottrine magico-alchemiche rinascimentali, a partire dalla mappatura di una cosmologia organica e antigerarchica dove femminile e natura coincidono e dove la magia diventa uno strumento per riordinare il cosmo, portando alla luce miti, credenze e rituali esoterici occultati dal mondo moderno.
La teorizzazione di un “universo infinito, veramente assoluto, sciolto cioè da ogni barriera, da ogni limite interno ed esterno” (Eugenio Garin, Magia ed Astrologia nella cultura del Rinascimento, 1950) trova nelle tele di Carrington una corrispondenza profonda che non si limita a un arco temporale circoscritto ma che, come emerge nelle opere qui analizzate, attraversa longitudinalmente l’insieme della sua produzione artistica.
Giulia Ingarao insegna Storia dell’arte moderna e contemporanea all’Accademia di Belle Arti di Palermo. Ha completato la formazione a Città del Messico (UNAM), dove ha vissuto e svolto ricerca per alcuni anni. Il Surrealismo e gli studi di genere costituiscono i suoi principali interessi di ricerca. Ha scritto numerosi saggi e articoli e ha curato diversi volumi, tra cui: Archetipi del femminile. Rappresentazioni di genere, identità e ruoli sociali nell'arte dalle origini a oggi (Mimesis Edizioni 2017) e From the Vision to the visual. Surrealist trajectories in art (Mimesis International 2024). È autrice della prima monografia scientifica in italiano su Leonora Carrington (Mimesis Edizioni 2014, edizione riveduta 2022), Leonora Carrington. The Image of Dreams [Mimesis International, 2022]) e per la collana “EnciclopedieAZ” di Electa ha curato il volume Carrington A-Z (in corso di pubblicazione).
Elliott H. King
La campagna italiana di Salvador Dalí: Misticismo, Hiparxiologi e Divina Commedia
L’intervento analizza le illustrazioni eseguite tra il 1951 e il 1960 da Salvador Dalí (1904–89) per la Divina Commedia di Dante Alighieri, fornendo una breve storia della loro committenza e alcuni materiali da poco scoperti sul loro rapporto con il testo dantesco (nonostante la provocatoria dichiarazione di Dalí del 1973 di non averlo mai letto). L’attenzione va principalmente alla progressione delle immagini attraverso i tre regni della Commedia (Inferno, Purgatorio e Paradiso) e al modo in cui Dalí verosimilmente proietta il proprio percorso artistico e spirituale sul viaggio del Pellegrino dantesco: l’Inferno è popolato da figure molli e teschi, tipici della produzione surrealista dell’artista negli anni trenta, il Purgatorio integra doppie immagini paranoiche dall’iconografia religiosa che riflettono la produzione artistica dell’esilio bellico degli anni quaranta negli Stati Uniti, e il Paradiso presenta angeli atomici e ipercubi che richiamano il “misticismo nucleare” degli anni cinquanta.
Si sostiene inoltre che la narrazione di Dalí si leghi volutamente a uno specifico quadro filosofico influenzato dal filosofo catalano Francesc Pujols, con cui il pittore mantiene un intenso dialogo durante l’esecuzione delle illustrazioni della Commedia. Secondo Pujols tutti gli esseri viventi occupano un posto sulla “scala della vita” che sale dal regno vegetale a quello angelico. Le illustrazioni di Dalí per la Commedia si rivelano quindi profondamente autobiografiche, e manifestano la consapevolezza dell’artista del proprio percorso dagli anni trenta e della propria ascesa spirituale in linea con il sistema filosofico esoterico di Pujols, l’Hiparxiologi.
Elliott H. King è Professore di Storia dell’arte presso la Washington and Lee University, in Virginia. Tra le sue pubblicazioni: Dalí, Surrealism, and Cinema (Kamera Books, 2007), Radical Dreams: Surrealism, Counterculture, Resistance, co-edito con Abigail Susik (Penn State University Press, 2022), e contributi alle mostre su Salvador Dalí e il Surrealismo al Centre Georges Pompidou, a Parigi, al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, a Madrid, alla National Gallery of Victoria, a Melbourne, al Museum of Modern Art, a New York e al Palazzo delle Arti di Napoli. King è attualmente Vicepresidente della International Society for the Study of Surrealism e coeditore delle recensioni in “The International Journal of Surrealism”.
Alyce Mahon
La torre del surreale: Leonor Fini e la tradizione italiana
In Autoritratto, un saggio del 1983, l’artista surrealista Leonor Fini (1907–96) descrive l’importanza dell’arte italiana per la propria carriera, in particolare di artisti del Rinascimento come “Pisanello, Piero della Francesca, Paolo Uccello, Cosimo Tura, Pontormo” e del pittore metafisico contemporaneo Giorgio de Chirico. Da fonti biografiche sappiamo che le raccolte d’arte italiana influenzano la decisione di Fini di intraprendere la carriera artistica: da ragazza, infatti, visita spesso insieme alla madre il Museo Revoltella di Trieste e i musei di Firenze, Roma, Torino e Venezia. Le fotografie d’archivio e la corrispondenza rendono inoltre evidente quanto il paesaggio italiano ispiri costantemente la scelta compositiva e la tavolozza dell’artista.
Il contributo valuta il modo in cui Fini mira a rivivificare la tecnica pittorica perché sia in linea con l’avanguardia, rifacendosi agli antecedenti italiani e attingendo allo stile, al simbolismo e al potenziale surreale dell’antico per informare il nuovo. Questo soprattutto nell’estate del 1952, quando Fini e il compagno, il pittore italiano Stanislao Lepri (1905–80), affittano in Lazio una torre medievale, la Torre San Lorenzo. L’ambiente e il soggetto della torre non solo attestano l’omaggio alla tradizione italiana, ma anche il modo in cui questa può essere impiegata nell’avanguardia per arricchire la dinamica tra sessualità e spazio architettonico, testo e immagine.
Alyce Mahon è Professore di Storia dell’arte moderna e contemporanea all’Università di Cambridge. È autrice di Surrealism and the Politics of Eros, 1938–1968 (Thames and Hudson, 2005), Eroticism & Art (Oxford University Press, 2005 e 2007), The Marquis de Sade and the Avant-Garde (Princeton University Press, 2020), Dorothea Tanning: A Surrealist World (Yale University Press, di prossima pubblicazione), dei volumi collettanei Jean-Jacques Lebel: Barricades (Walther Konig, 2015) e Dorothea Tanning (Museo Reina Sofía e Tate Publishing, 2018), e di numerosi saggi sul Surrealismo. Tra i progetti recenti come curatrice e consulente di mostre: Leonor Fini: Theatre of Desire (2018–19), Dorothea Tanning (2018–19), SADE: Freedom or Evil (2023) e Ithell Colquhoun: A World Apart (in uscita nel 2025). Mahon è co-editrice dell’“International Journal of Surrealism” e fa parte del consiglio della International Society for the Study of Surrealism.
Alessandro Nigro
“Those hills of Tuscany remain on my brain. I fear I am possessed by Italy”: la Parigi degli anni trenta, i surrealisti, la fascinazione per l’Italia e gli Old Masters nella corrispondenza di Marie-Laure de Noailles con Bernard Berenson
Il carteggio dei visconti de Noailles con Bernard Berenson è conservato negli archivi di Villa I Tatti a Settignano, Firenze. Le lettere di Charles (1891–1981) e di Marie-Laure (1923–70) de Noailles coprono un arco di tempo che si estende dagli anni trenta ai cinquanta e offrono un ritratto inedito della coppia che era stata un tempo il punto di riferimento delle avanguardie parigine e che sembra ora presa da nuovi e meno trasgressivi interessi. Pur se in parte condizionate dalla fama e dai gusti del celebre destinatario, con cui Marie-Laure non manca di discutere anche i maestri della pittura rinascimentale, le lettere offrono anche e soprattutto uno spaccato interessante della vita culturale della Parigi degli anni trenta.
Nell’intimità della corrispondenza con Berenson tutto appare in una prospettiva nuova, o quanto meno insolita. Ad esempio, la celebre Villa Noailles a Hyères, già teatro del film di Man Ray Les Mystères du château de dès (1929), si rivela a distanza di quel celebre tournage un luogo scomodo e poco amato; la viscontessa si fa ancora ritrarre da Man Ray e commenta con trasporto le nuove creazioni di Schiaparelli che intende sfoggiare, ma nelle sue lettere i surrealisti appaiono ora come personaggi piuttosto distanti, e inoltre alcuni giudizi sulle loro iniziative, in particolare sulla Exposition international du surréalisme del 1938 alla Galerie des Beaux-Arts, fanno comprendere come Marie Laure nel corso degli anni trenta abbia preso una certa distanza dal movimento e sia presa da nuove passioni, fra cui la scrittura e, in seguito, la pittura.
Alessandro Nigro insegna Storia della critica d’arte all’Università di Firenze. Si è occupato di Surrealismo a più riprese, pubblicando saggi e ricerche fra cui la monografia Ritratti e autoritratti surrealisti. Fotografia e fotomontaggio nella Parigi di André Breton (CLEUP 2015) e il contributo “Le Muse inquietanti. Maestri del surrealismo” à Turin en 1967. Histoire d’une exposition surréaliste mémorable (Le surréalisme et l’argent, Heidelberg 2020). Ha curato la sezione “Surrealismo e culture native” nell’ambito della mostra Dalí, Magritte, Man Ray e il Surrealismo. Capolavori dal Museo Boijmans van Beuningen di Rotterdam (2023) e co-curato (con Stefano Roffi e Alice Ensabella) Il Surrealismo e l’Italia (2024).
Victoria Noel-Johnson
Un gioco surreale che getta fumo negli occhi: il collezionismo surrealista di opere di Giorgio de Chirico degli anni dieci e venti del Novecento
L’intervento vuole affrontare nuovamente il complicato e contraddittorio rapporto tra Giorgio de Chirico (1888–1978) e i surrealisti nella prima metà degli anni venti del secolo scorso, parallelamente allo sviluppo del movimento artistico, attraverso l’identificazione dei numerosi dipinti di de Chirico, metafisici (1910–18) e successivi (primi anni venti), posseduti da artisti surrealisti come André Breton, Paul Éluard, Jean Paulhan, Marcel Raval e Philippe Soupault.
Analizzando in dettaglio le loro collezioni, in particolare quelle di Breton ed Éluard, il contributo solleva interrogativi sulla sincerità della condanna pubblica delle opere di de Chirico successive al 1918 da parte di questi artisti, in contrasto con l’acclamazione critica dei dipinti metafisici degli anni dieci.
Si vuole approfondire il conflitto d’interessi (commerciale e critico) dei surrealisti legato al possesso delle prime opere di de Chirico, esaminando anche il sostegno e l’incoraggiamento personale che Paul e Gala Éluard offrono alla ricerca di de Chirico sulle tecniche pittoriche dell’arte antica, nonché il loro acquisto di opere dei primi anni venti nel contesto della pubblica censura denigratoria messa in atto dal Surrealismo. Infine, si affronta la spinosa questione del diritto d’autore intellettuale rispetto alla pratica di de Chirico di produrre repliche delle proprie opere, in rapporto alla richiesta da parte di Breton della prima replica di un dipinto metafisico, Le muse inquietanti (1918, collezione privata) che l’artista esegue per lui nel 1924. Nel considerare il rapporto di breve durata tra Breton e de Chirico (finito nel 1926) nell’ottica dell’acquisizione, della promozione e della strenua difesa dei primi lavori di quest’ultimo da parte dei surrealisti, si spera che questo fatto meno noto possa gettare nuova luce su uno dei rapporti più litigiosi nell’arte del primo Novecento.
Victoria Noel-Johnson è storica dell’arte e curatrice britannica indipendente, specializzata nell’arte europea del primo Novecento con particolare attenzione all’opera di Giorgio de Chirico. Già Curatrice della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico di Roma (2008-17), ha conseguito il dottorato presso l’Università di Glasgow nel 2018 con la tesi “Taking possession of the past. De Chirico and the great masters”. Tra le mostre recentemente curate: Giorgio de Chirico: Il volto della Metafisica (2019); Picasso, de Chirico, Dalí: Dialogo con Raffaello (2021); Lee Miller – Man Ray: Fashion, Love, War (2022–23); Joan Miró: L’Essence des choses passées et présentes (2022–23); Kay Sage - Yves Tanguy. Ring of Iron, Ring of Wool (2023); e Giorgio de Chirico. Metafisica continua (2023–24). Attualmente lavora alla mostra Giorgio de Chirico: 1924 (in apertura nel 2024–25).
Gavin Parkinson
Bajografia surrealista
Il ruolo di primo piano svolto da Enrico Baj (1924–2003) nel Movimento arte nucleare a partire dal 1951 e il suo coinvolgimento nel gruppo internazionale Phases guidato da Édouard Jaguer sono stati meticolosamente delineati da Angela Sanna, così come Baj, grazie a tutto questo, si sia inserito nella più ampia cerchia di artisti e scrittori vicini o legati al Surrealismo. L’intervento prende spunto da questa biografia e storiografia per costruire una “Bajografia” surrealista, ovvero l’analisi degli aspetti per cui le figure di Baj coincidono con i temi fondamentali del Surrealismo, concentrandosi sulla serie dei Generali e su una singola opera che vi appartiene, il volume Dames et Généraux (1963). Innanzitutto, i Generali vengono analizzati in relazione alla ritrattistica militare, come premessa all’analisi più approfondita di Dames et Généraux, un volume introdotto dal saggio di André Breton su Baj e che consiste in brani di poesie di Benjamin Péret con contributi di Marcel Duchamp e Arturo Schwarz, illustrato dalle incisioni colorate di Baj che raffigurano generali fatui e dame borghesi impettite. Il contesto della guerra d’indipendenza algerina (1954–62) è cruciale per la loro interpretazione, come anche la tradizione antimilitarista del Surrealismo che risale ai pamphlet “La Révolution d’Abord et Toujours!” (1925) e “Ouvrez les prisons. Licenciez l'armée” (1925).
Rintracciando i precursori surrealisti nel Père Ubu di Alfred Jarry e nelle grottesche di Francis Picabia rielaborate nei mostri dei film di fantascienza statunitensi degli anni cinquanta, i registri di Dames et Généraux sono qui ulteriormente esaminati, attraverso la “teoria dei mostri” e il legame con gli scritti di Mikhail Bakhtin, per dare una nuova lettura dell’opera di Baj, che condivide il centenario con il Surrealismo.
Gavin Parkinson è Professore di Modernismo europeo presso il Courtauld Institute of Art di Londra. Ha scritto numerosi saggi e articoli, soprattutto sul Surrealismo. Ha pubblicato: Robert Rauschenberg and Surrealism: Art History, “Sensibility” and War (Bloomsbury, 2023), Enchanted Ground: André Breton, Modernism and the Surrealist Appraisal of Fin-de-Siècle Painting (Bloomsbury, 2018), Futures of Surrealism (Yale University Press, 2015), Surrealism, Art and Modern Science (Yale University Press, 2008), The Duchamp Book (Tate Publishing, 2008), e ha curato la raccolta Surrealism, Science Fiction and Comics (Liverpool University Press, 2015).
Stefania Portinari
“La poésie se fait dans les bois”. Elementi botanici e piccoli sogni nell’Italia degli anni venti
Le apparizioni dipinte da alcuni artisti nella seconda metà degli anni venti del secolo scorso in Italia rivelano, come in un caleidoscopio, prospettive strane e multiformi. Dalla Prima esposizione del Novecento italiano (1926), curata da Margherita Sarfatti, a Filippo de Pisis e Scipione, emerge un panorama di creativi che corteggiano un’affinità “di sentimento” al Surrealismo: sono artisti che vivono lo stesso tempo dello scrittore Massimo Bontempelli, immaginatore di sirene, amanti fedeli, Eve disperate e indovine che leggono nei capelli.
Bontempelli, il “trasportatore” della definizione di Realismo magico in Italia, prescrive che ciascuno debba creare “il suo proprio mistero”, che solo l’immaginazione può “liberarci dalla ripetizione del vecchio e favorire l’atmosfera del tempo nuovo”. A suo avviso, però, non si tratta di impiegare una fantasia incondizionata, deve esserci un fondamento di realtà nelle narrazioni e nelle raffigurazioni che deve farci provare “una inquietudine intensa, quasi un’altra dimensione in cui la nostra vita si proietta”. Non magia come stregoneria, quindi, ma come stupore, perché “più che di fiaba, abbiamo sete di avventura”, perché “il fondo dell’arte è non altro che incanto”.
Esplorando come la poetica del Realismo magico si rapporti col Surrealismo, l’intervento intende illuminare il ruolo degli elementi botanici e dei piccoli animali che emergono in peculiari consonanze. La Triennale di Milano e la Biennale di Venezia, come palcoscenici che mostrano alcuni casi di studio, tracciano inoltre una cartografia di presenze che rivelano il potere dell’automatismo psichico come pure apparizioni vertiginose e magnetiche del mondo naturale, anche in consonanza con una natura mediterranea.
Stefania Portinari è Professore associato di Storia dell’arte contemporanea all’Università Ca’ Foscari di Venezia; in precedenza ha lavorato presso la Soprintendenza per i Beni Culturali e Artistici di Venezia. Le sue ricerche si concentrano sulla storia dell’arte dell’Ottocento e del Novecento, oltre che su design e architettura; ha studiato a fondo la storia della Biennale di Venezia e ha dedicato le sue pubblicazioni all’accoglienza riservata ad artisti negli interstizi tra letteratura e critica d'arte e alle donne artiste. Ha recentemente curato una mostra sul ritratto negli anni venti, Ritratto di donna. Il sogno degli anni Venti e lo sguardo di Ubaldo Oppi (2019–20).
Abigail Susik
Il Surrealismo del dopoguerra esposto a Milano: la prima Mostra Internazionale del Surrealismo in Italia, 1959
Tra l’aprile e il maggio del 1959 la Galleria Schwarz di via S. Andrea 23 a Milano presenta la prima Mostra Internazionale del Surrealismo in Italia. Nata dalla collaborazione tra l’artista surrealista francese Jean-Jacques Lebel (1936) e il suo gallerista italiano, Arturo Schwarz (1924–2001), la mostra espone dipinti, disegni, collage, oggetti surrealisti, cadavres exquis e una selezione di stampe di trentasei artisti surrealisti o vicini al movimento. È presente anche una selezione di libri e di stampati che illustrano le attività surrealiste in Belgio, Cile, Cuba, Cecoslovacchia, Romania, Stati Uniti e altri Paesi europei.
Annunciata sull’ultima pagina del primo numero della nuova serie della rivista francese “Front Unique”, a cura di Lebel e “Tristan Sauvage” (pseudonimo di Schwarz) della primavera/estate del 1959, la prima Mostra Internazionale del Surrealismo alla Galleria Schwarz è frutto di una lunga collaborazione. “Front Unique” viene originariamente pubblicato nel 1955–58 in forma di sei manifesti murali, stampati a Milano dalla Galleria Schwarz con offerta di abbonamento per Francia e Italia. Il primo numero appare nel 1955 in concomitanza con la prima mostra personale di Lebel alla Galleria Schwarz. Il primo numero della nuova serie, apparso nel 1959, presenta in copertina un’opera di Lebel e Presenza del Surrealismo, saggio di Schwarz sul rapporto del Surrealismo con le fonti italiane. Insieme, il numero di “Front Unique” del 1959 e la mostra surrealista di Milano vogliono dimostrare che il Surrealismo si è assicurato uno spazio in Italia e che il fronte surrealista è unito contro la guerra d'Algeria.
Abigail Susik è co-redattrice della serie Transnational Surrealism di Bloomsbury. È autrice di Surrealist Sabotage and the War on Work (Manchester University Press, 2021), curatrice di Resurgence! Jonathan Leake, Radical Surrealism, and the Resurgence Youth Movement, 1964–1967 (Eberhardt Press, 2023), e co-editrice dei volumi Surrealism and Film after 1945: Absolutely Modern Mysteries (Manchester University Press, 2021) e Radical Dreams: Surrealism, Counterculture, Resistance (Penn State University Press, 2022). Nel 2024–25 pubblicherà due testi: l’antologia Surrealism, Bugs Bunny, and the Blues: Selected Writings on Popular Culture 1965–2008, a cura di Franklin Rosemont (PM Press); e il volume Surrealism and Animation: Transnational Connections, 1920-Present (Bloomsbury).
Oliver Tostmann
Da Hartford a Roma: Il viaggio di “Chick” Austin in Italia nel 1937
Nell’agosto del 1937 Arthur Everett “Chick” Austin (1900–57), Direttore del Wadsworth Atheneum di Hartford, in Connecticut, attraversa l’Italia da Venezia a Roma per arrivare infine a Napoli. Accompagnato da artisti e amici vive in prima persona le ricchezze culturali del paese. Del piccolo gruppo fanno parte i pittori Leonid Berman e Pavel Tchelitchew, il poeta Charles Henri Ford e James Thrall Soby, critico, collezionista e curatore di arte contemporanea del Wadsworth Atheneum.
All’epoca, il Wadsworth funge da vivace palcoscenico per l’arte surrealista negli Stati Uniti. Il museo ha da poco ospitato mostre innovative su Surrealismo e Neoromanticismo, con importanti acquisizioni di artisti come Salvador Dalí, Giorgio de Chirico e Joan Miró. In parallelo, Austin ha organizzato mostre sull’arte rinascimentale e barocca italiana, acquistando numerose opere di queste scuole. L’arte italiana ha un ruolo fondante nel modo in cui Austin concepisce la collezione di pittura antica del Wadsworth; tuttavia, l’impatto dell’Italia sulla collezione di arte moderna è molto meno conosciuto e questo viaggio poco studiato fa luce sullo stretto dialogo tra arte italiana e Surrealismo a Hartford. Il gruppo, guidato da Berman e Tchelitchew, visita numerosi siti, musei e collezioni: questo contributo ricostruisce il viaggio e ne analizza il significato e l’impatto sul futuro orientamento del museo.
Oliver Tostmann è dal 2013 Curatore Susan Morse Hilles di arte europea presso il Wadsworth Atheneum Museum of Art di Hartford, Connecticut. In precedenza è stato Curatore William Poorvu della collezione presso l’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston, dopo essere stato borsista presso il Dipartimento di pittura italiana e spagnola della National Gallery of Art di Washington, D.C. Tostmann ha conseguito la laurea, il master e il dottorato in storia dell’arte presso la Freie Universität di Berlino.
Giulia Tulino
Pavel Tchelitchew e Charles Henri Ford tra Stati Uniti e Italia nel secondo dopoguerra
Il contributo intende approfondire i rapporti intercorsi tra Pavel Tchelitchew (1898–1957), Charles Henri Ford (1908–2002) e alcuni artisti neoromantici confluiti in Italia nei primi anni cinquanta, come Eugene Berman e Carlyle Brown, e gli artisti fantastici italiani, in particolare Fabrizio Clerici e Leonor Fini. Le ricerche compiute sinora dimostrano che Tchelitchew e Ford iniziano a interagire con il contesto artistico italiano grazie ad Alexander Iolas e Peter Lindamood (collezionista e commerciante d’arte, membro della Psychological Warfare Branch dell’esercito americano). Durante il soggiorno in Italia Lindamood frequenta abitualmente la libreria-galleria La Margherita di Roma, al tempo gestita da Irene Brin e Gaspero del Corso, che prediligono l’arte neoromantica, surreale e fantastica di Clerici, Fini e Alberto Savinio. Dal 1952 al 1957 Tchelitchew e Ford si trasferiscono in Italia, prima a Grottaferrata e poi a Frascati, piccoli comuni alle porte di Roma, dove vivono un periodo ricco di eventi e fanno parte della cerchia legata all’arte fantastica italiana. Tchelitchew espone presso le principali gallerie italiane del tempo, come L’Obelisco e la Galleria Schneider a Roma, Il Naviglio a Milano, Il Cavallino a Venezia. Grazie a documenti in parte inediti provenienti dall’Archivio Fabrizio Clerici e dagli eredi di Carlyle Brown, insieme alle ricerche svolte nell’arco degli ultimi dieci anni, si propone un approfondimento sulla carriera dei due artisti a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale fino al 1957, anno di morte di Tchelitchew.
Giulia Tulino è assegnista di ricerca e docente a contratto per il corso in Storie e pratiche curatoriali presso La Sapienza Università di Roma. Ha pubblicato la monografia La Galleria L’Obelisco. Surrealismo e arte fantastica (1943–1954) (De Luca Editori, 2020) oltre a saggi e articoli sull’arte fantastica italiana, sugli artisti neo-romantici e sulla ricezione del Surrealismo in Italia. Tra le curatele più recenti: Fabrizio Clerici. L’atlante del meraviglioso presso La Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea di Roma (2022), e Leonor Fini e Fabrizio Clerici. Insomnia presso il MART di Rovereto (con Denis Isaia, 2023). È membro dal 2020 del comitato scientifico dell’Archivio Fabrizio Clerici.
Anna Watz
Eredità e appropriazioni da Giorgio de Chirico nell’opera di Kay Sage e Gertrude Abercrombie
Il contributo si incentra sull’eredità della pittura metafisica di Giorgio de Chirico nell’opera di due artiste statunitensi della metà del Novecento: la surrealista Kay Sage (1898–1963) e Gertrude Abercrombie (1909–77), che al Surrealismo è molto vicina. L’influenza di de Chirico è visibile nella rappresentazione ricorrente di elementi architettonici frammentati, prospettive distorte e ombre lunghe nonché nell’atmosfera di straniamento e malinconia che avvolge gli spazi desolati nelle opere delle due artiste. Tuttavia, se i dipinti metafisici di de Chirico sono spesso popolati da manichini o statue inanimate e da simboli fallici come torri o ciminiere, le tele di Sage e Abercrombie si incentrano su oggetti e forme che potremmo definire più “femminili”: figure simili a streghe (nel caso di Abercrombie), forme umanoidi drappeggiate in tessuti svolazzanti (nel caso di Sage) e uova (motivo ricorrente in entrambe).
L’intervento suggerisce come il legame delle due artiste con la pittura metafisica di de Chirico vada esaminato nel quadro di una serie di contesti interconnessi. La loro opera, pur legata alla produzione precedente di surrealisti come Salvador Dalí, Max Ernst, René Magritte e Yves Tanguy (tutti in qualche modo in dialogo con de Chirico), è anche segnata dalla svolta surrealista del secondo dopoguerra verso il mito e i temi esoterici. Inoltre, e soprattutto, il loro lavoro può essere letto come un’estensione nettamente femminile, e forse persino femminista, della pittura metafisica italiana, che dà visibilità all’immaginario di ciascuna artista.
Anna Watz è Professore associato di Inglese presso la Università di Uppsala, in Svezia. Ha pubblicato numerosi testi sulla teoria femminista e sull’arte e gli scritti di Leonora Carrington, Leonor Fini e Dorothea Tanning. È autrice di Angela Carter and Surrealism: “A Feminist-Libertarian Aesthetic” (Routledge, 2016), curatrice di Surrealist Women's Writing: A Critical Exploration (Manchester University Press, 2020) e A History of the Surrealist Novel (Cambridge University Press, 2023), e co-curatrice dei due volumi Angela Carter’s Pasts / Angela Carter’s Futures (Bloomsbury, in uscita nel 2025). Una seconda monografia, Surrealism and Feminine Difference, è in uscita per Oxford University Press nel 2025.
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