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A cura di Francesca Panseri
Truman Capote (1924–1984) è stato uno dei più assidui frequentatori di Palazzo Venier dei Leoni. Nel settembre del 1950 approda da Peggy Guggenheim per la prima volta, ritorna da lei nel settembre di due anni dopo e ancora nell’estate del 1953; soggiorna nella sua casa per sei settimane nella primavera del 1956 e le dà un ultimo saluto nella primavera del 1961. Così lo ricorda la collezionista:
La prima volta che incontrai Truman Capote fu nel mio salone d’ingresso: era un ometto piccolo che andava in giro con un paio di pantofole di panno. Diventammo ottimi amici e più tardi trascorse due mesi a casa mia, dove scrisse The Muses Are Heard [1956; Si sentono le Muse]. Stava molto attento a mantenere la linea e fece fare la dieta anche a me: ogni sera mi portava all’Harry’s Bar e mi faceva mangiare pesce e a pranzo mi consentiva di mangiare piatti a base di uova. Lo trovavo un uomo immensamente divertente e mi piaceva stare in sua compagnia.
Peggy Guggenheim, Una vita per l’arte, Rizzoli, Milano 2003, pp. 355–356.
Chi è dunque Truman Capote?
Truman Capote è un reporter, uno scrittore, una celebrità, rinomato per essere l’autore di Breakfast at Tiffany’s (1958; Colazione da Tiffany, 1959), da cui è stato tratto l’omonimo film con Audrey Hepburn diretto da Blake Edwards, e il capostipite, insieme a Norman Mailer, del genere della non-fiction novel, il romanzo-documento, grazie a In Cold Blood (1966; A sangue freddo).
Capote nasce nel 1924 a New Orleans e, giovanissimo, sviluppa una vera e propria ossessione per la scrittura, complice un’infanzia segnata dalla solitudine e dai rapporti anaffettivi con i genitori. Frequenta scuole prestigiose, ma a 17 anni decide di abbandonare l’istruzione tradizionale per procedere da autodidatta e rimedia un impiego modesto presso la rivista “The New Yorker”. Nel 1942, a soli ventidue anni, vince il prestigioso premio O. Henry per il racconto breve dal titolo Miriam. Tra il 1943 e il 1946 produce a flusso continuo racconti brevi, tra cui Mink of One’s Own, My Side of the Matter, Preacher’s Legend, Shut a Final Door e The Walls Are Cold, che vengono pubblicati sia su riviste letterarie che su testate più note, “The Atlantic Monthly”, “Harper’s Bazaar”, “Harper’s Magazine”, “Mademoiselle” e lo stesso “The New Yorker”. Questa prima produzione affonda le radici nella tradizione letteraria del Sud degli Stati Uniti, caratterizzata da un’inclinazione al grottesco e una fascinazione per la violenza, che si trova già in Edgar Allan Poe, e poi in Flannery O’ Connor e Carson McCullers, e dall’utilizzo di un linguaggio stravagante, riscontrabile in molti autori da Poe a William Faulkner.
Nel 1948 dà alle stampe il suo primo romanzo Other Voices, Other Rooms (Altre voci, altre stanze, 1949) intonato all’atmosfera “southern gothic” degli scritti precedenti. L’opera, per i suoi riferimenti omosessuali impliciti - ma audaci per l’epoca -, gli regala una certa notorietà grazie alla quale viene introdotto, in qualità di intellettuale-dandy, negli ambienti mondani frequentati da celebrità. Ha inizio per Capote un processo di costruzione del proprio personaggio pubblico che lo impegnerà per il resto della sua vita, conducendolo alla notorietà da talk-show televisivo, ma anche all’abuso di alcool e droghe, che gli sarà fatale. Per tutti gli anni cinquanta scrive freneticamente, dimostrando di saper creare personaggi attraenti, di saper maneggiare stati d’animo contrastanti e di saper fondere con grande maestria fantasia e realtà della vita sociale. Colazione da Tiffany, pubblicato al culmine di questa stagione, nel 1958, è un’opera che dal punto di vista tematico insiste sui territori già esplorati (l’amore eterosessuale vs l’amore omosessuale, la libertà vs la stabilità, la natura vs la cultura), ma che dal punto di vista stilistico segna un punto di svolta. Qui per la prima volta Capote abbandona una scrittura carica ed elaborata per abbracciare una narrazione più lineare, caratterizzata da una prosa minimale e naturalista.
È un passo importante verso A sangue freddo, la sua opera maggiore. Composto tra il 1959 e il 1965, lo scritto tratta di un accadimento di cronaca nera realmente verificatosi in Kansas nel 1959: l’efferato omicidio della famiglia Clutter, padre, madre e due bambini, a opera di due criminali appena usciti di prigione. Capote si documenta, fa ricerche e intervista tutte le persone coinvolte nella vicenda: l’avvocato, i compaesani delle vittime, gli assassini. Il suo obbiettivo è creare un nuovo genere letterario contrapposto alla fiction, alla narrativa d’invenzione, che sia in grado di ritrarre la realtà sociale statunitense in maniera oggettiva, come il reportage giornalistico, ma con un respiro più ampio. “L’origine è nell’incrocio tra ‘giornalismo’ e ‘letteratura’, e nasce innanzitutto dalla scelta di un soggetto documentabile del mondo reale (opposto a quello inventato dalla mente dello scrittore), su cui si opera una ricerca esaustiva che dà credibilità al racconto. La prospettiva ‘romanzesca’ è data invece da caratteristiche quali la ‘costruzione’ delle scene come in un racconto; la descrizione vivida del contesto degli eventi, in contrasto con quella oggettiva dello stile giornalistico; l’utilizzo dei dialoghi, riprodotti integralmente; l’uso di uno stile più vicino alla prosa letteraria e di un linguaggio ricercato”. (Andrea Rondini, a cura di, Pianeta non-fiction, “Heteroglossia” n.14, 2016, pp. 54-55). Il valore dell’opera tuttavia non risiede solo in questa forma peculiare, ma nel modo in cui sono tratteggiati i personaggi, in tutta la loro contingente complessità, e soprattutto nel modo in cui viene data voce a un’epoca irreale, per la sua strana combinazione di violenza e pietà, della storia degli Stati Uniti, gli anni sessanta. Capote tenterà di portare avanti questo filone nella sua ultima prova Answered Prayers (1985; Preghiere esaudite, 1987), ma a causa di un sempre più precario stato di salute l’opera rimarrà incompiuta.